neurochirurgia

Quale parte delle funzioni del nostro cervello può essere assimilata ad un microprocessore?

Qual è la prima cosa che apri? …Gli occhi!

Recentemente, ho avuto una ricaduta verso uno dei miei primi amori: la neuroanatomia funzionale.
In particolare, ero rimasto molto affascinato dal meccanismo che ha il nostro cervello per riconoscere i volti, come una specie di “carta d’identità” della persona che abbiamo davanti.
Ho riguardato qualche articolo scientifico, e poi ho deciso di scriverci su. uno studio di risonanza magnetica funzionale che indica le zone del riconoscimento facciale In questa immagine, derivata da una Risonanza Magnetica Funzionale (cioè un esame che studia la variazione dell’invio di zucchero nel sangue, mappando di conseguenza le parti del cervello che lo stanno usando di più e che quindi stanno “pensando” in quel momento. In questo modo, è possibile capire quale area del cervello sta funzionando durante un dato processo cognitivo), è possibile vedere alcune delle aree che si occupano selettivamente di riconoscere i volti delle persone.
Non si trovano nel lobo occipitale, che è quello che percepisce il senso della vista, ma in un pezzo di cervello lì vicino: il lobo temporale. Quando vediamo una faccia, le porzioni più centrali di quelle aree si occupano di analizzare un dettaglio del viso, mentre proseguendo più verso la periferia delle aree evidenziate, la zona del volto che viene analizzata è sempre più ampia: in questo modo, abbiamo contemporaneamente una visione del dettaglio confrontata con una visione dell’insieme.
La cosa curiosa, è che la nostra percezione dei volti pare vada messa in relazione con il comportamento del soggetto: la frontiera della ricerca sarà capire se queste aree hanno uno sviluppo più o meno florido a seconda del comportamento del bambino nelle prime fasi del suo sviluppo sociale. Dal momento che le connessioni di queste regioni del cervello sono molto ampie e diffuse alle aree più disparate, è interessante valutare come una persona qualunque reagisca all’incontro con un suo simile anche in base alla sua possibilità di immagazzinare un archivio più o meno ampio di ricordi, emozioni, relazioni, episodi, in relazione a quel dato volto che si trova davanti.
Insomma: siamo di fronte alla base dell'”intelligenza sociale ed emozionale”?
E chissà che anche la possibilità di provare sentimenti, e di saperli riconoscere, non possa essere collegata ad una zona del riconoscimento del volto meglio o peggio funzionante…

, e poi ho deciso di scriverci su. uno studio di risonanza magnetica funzionale che indica le zone del riconoscimento facciale In questa immagine, derivata da una Risonanza Magnetica Funzionale (cioè un esame che studia la variazione dell’invio di zucchero nel sangue, mappando di conseguenza le parti del cervello che lo stanno usando di più e che quindi stanno “pensando” in quel momento. In questo modo, è possibile capire quale area del cervello sta funzionando durante un dato processo cognitivo), è possibile vedere alcune delle aree che si occupano selettivamente di riconoscere i volti delle persone.
Non si trovano nel lobo occipitale, che è quello che percepisce il senso della vista, ma in un pezzo di cervello lì vicino: il lobo temporale. Quando vediamo una faccia, le porzioni più centrali di quelle aree si occupano di analizzare un dettaglio del viso, mentre proseguendo più verso la periferia delle aree evidenziate, la zona del volto che viene analizzata è sempre più ampia: in questo modo, abbiamo contemporaneamente una visione del dettaglio confrontata con una visione dell’insieme.
La cosa curiosa, è che la nostra percezione dei volti pare vada messa in relazione con il comportamento del soggetto: la frontiera della ricerca sarà capire se queste aree hanno uno sviluppo più o meno florido a seconda del comportamento del bambino nelle prime fasi del suo sviluppo sociale. Dal momento che le connessioni di queste regioni del cervello sono molto ampie e diffuse alle aree più disparate, è interessante valutare come una persona qualunque reagisca all’incontro con un suo simile anche in base alla sua possibilità di immagazzinare un archivio più o meno ampio di ricordi, emozioni, relazioni, episodi, in relazione a quel dato volto che si trova davanti.
Insomma: siamo di fronte alla base dell'”intelligenza sociale ed emozionale”?
E chissà che anche la possibilità di provare sentimenti, e di saperli riconoscere, non possa essere collegata ad una zona del riconoscimento del volto meglio o peggio funzionante…

uno studio di risonanza magnetica funzionale che indica le zone del riconoscimento facciale In questa immagine, derivata da una Risonanza Magnetica Funzionale (cioè un esame che studia la variazione dell’invio di zucchero nel sangue, mappando di conseguenza le parti del cervello che lo stanno usando di più e che quindi stanno “pensando” in quel momento. In questo modo, è possibile capire quale area del cervello sta funzionando durante un dato processo cognitivo), è possibile vedere alcune delle aree che si occupano selettivamente di riconoscere i volti delle persone.
Non si trovano nel lobo occipitale, che è quello che percepisce il senso della vista, ma in un pezzo di cervello lì vicino: il lobo temporale. Quando vediamo una faccia, le porzioni più centrali di quelle aree si occupano di analizzare un dettaglio del viso, mentre proseguendo più verso la periferia delle aree evidenziate, la zona del volto che viene analizzata è sempre più ampia: in questo modo, abbiamo contemporaneamente una visione del dettaglio confrontata con una visione dell’insieme.
La cosa curiosa, è che la nostra percezione dei volti pare vada messa in relazione con il comportamento del soggetto: la frontiera della ricerca sarà capire se queste aree hanno uno sviluppo più o meno florido a seconda del comportamento del bambino nelle prime fasi del suo sviluppo sociale. Dal momento che le connessioni di queste regioni del cervello sono molto ampie e diffuse alle aree più disparate, è interessante valutare come una persona qualunque reagisca all’incontro con un suo simile anche in base alla sua possibilità di immagazzinare un archivio più o meno ampio di ricordi, emozioni, relazioni, episodi, in relazione a quel dato volto che si trova davanti.
Insomma: siamo di fronte alla base dell'”intelligenza sociale ed emozionale”?
E chissà che anche la possibilità di provare sentimenti, e di saperli riconoscere, non possa essere collegata ad una zona del riconoscimento del volto meglio o peggio funzionante…

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