Mi è stato chiesto se fosse stato trovato il proverbiale “bandolo della matassa” per capire come sia possibile che un organo fatto di carne e sangue, come il cervello, sia in grado di produrre pensieri.
In effetti se uno ci pensa, è strano: il muscolo produce forza. E la forza è facilmente definibile. Si può quasi toccare la forza: è un lavoro. Un fare. Le miofibrille si contraggono, il muscolo si accorcia e muove qualcosa attraverso la sua articolazione. L’intestino ha le sue ghiandole. Produce sostanze chimiche, l’intestino. Fa un mestiere.
Per non parlare del cuore: pompa.
Ma il cervello? Non si muove. Resta lì, enigmatico. Fa qualcosa che non è tangibile, non si può vendere o comprare. Non sposta le cose (credo).
Forse possiamo trovare una spiegazione se dimentichiamo completamente il concetto di “pensiero”. A ben vedere, il concetto di “pensiero” non è nemmeno medico. Il pensiero non si può misurare, non si può conservare, o replicare. E’ unico.
Il cervello “pensa”. Ma il pensiero in effetti non è che la rappresentazione che noi con le nostre menti razionali diamo a qualcosa di impossibile da rappresentare.
Non sarà un percorso facile questa volta. Ma vi prometto che se leggerete con attenzione, arrivati alla fine ne sorriderete e penserete che tutto sommato, il meccanismo è affascinante…
Partiamo da una premessa: una definizione che mi piace molto del sistema nervoso centrale è “sistema dell’adeguamento“. Cioè: il cervello ci serve per adeguare il nostro comportamento all’ambiente circostante, aumentando così le nostre possibilità di sopravvivere e prosperare. Di modo da realizzare una risposta evolutivamente “fitting”. E se il quesito che ci viene posto non è mai stato incontrato prima? Beh, forse può essere scomposto, in modo da trovare qualcosa nella nostra memoria che sia almeno simile (procedendo per astratto quindi).
Per scrivere la spiegazione di questo concetto ho provato diversi modi, e poi ho cancellato tutto. Non funzionavano. Poi mi è uscita questa analogia.
Immaginiamo un robottino per le pulizie, che si muove sul pavimento. Ad un certo punto i suoi sensori incontrano l’ostacolo, e lui prende un’altra direzione per evitarlo. Si può dire che quest’aggeggio, totalmente sprovviste di un cervello, abbia “pensato”? Eppure, voleva qualcosa (muoversi per pulire il pavimento), ha vissuto una esperienza (l’incontro con l’ostacolo). Ha elaborato una risposta.
Ora aumentiamo esponenzialmente la complessità, e arriviamo ad un essere umano: i suoi bisogni sono estremamente più complessi e sfaccettati. Ma il succo non cambia: ci si incontrerà con un ostacolo che andrà rimosso o aggirato. La natura ha giudicato opportuno raggruppare il “centro decisionale” in un organo separato, il cervello, in grado di elaborare risposte complesse a stimoli complessi anche sulla base dell’esperienza già immagazzinata, evitando cioè di subire ogni volta un danno. Ecco qui il primo scatto evolutivo: un sistema per evitare di subire il danno prima di elaborare una risposta.
Come elabora il cervello? Perché la risposta a questa domanda ci dice anche cosa vuol dire pensare…
Per rispondere dobbiamo zoomare di tantissimo il tessuto cerebrale, fino ad analizzare il funzionamento dei singoli neuroni.
Ogni corpo cellulare del neurone è contattato da migliaia di sinapsi. Le sinapsi sono ventose che vengono da un altro neurone, che quando quell’altro neurone scarica elettricità, rilasciano sostanze chimiche a contatto con la membrana del neurone a cui sono attaccate. Ogni millesimo di secondo, la membrana di un singolo neurone riceve le influenze chimiche di miliardi di sinapsi provenienti da altrettanti neuroni. Alcune di queste sinapsi modificano la membrana verso il segno + di una corrente elettrica, mentre altre sostanze verso il segno -. Una membrana neuronale è una struttura complessa, che se riceve sufficienti + da superare una determinato trigger, produce elettricità esattamente come un relè di un circuito elettrico. Quindi il neurone fa partire la sua scarica che giungerà alle sue sinapsi che a loro volta rilasceranno sostanze chimiche che modificheranno la membrana di altre centinaia di migliaia di neuroni.
Insomma, ogni singolo neurone, dopo un determinato numero di stimoli, elabora una risposta. Solo che quella risposta è una voce nel coro di miliardi di altre risposte. Esattamente come le nostre “risposte agli stimoli” (i nostri pensieri) sono miliardi di volte più complessi di quelli del robottino che deve pulire il pavimento.
Vivere l’effetto di una nostra esperienza, cioè diciamo “memorizzare” il risultato di quella esperienza, non è altro che modificare la mappa delle connessioni tra neuroni attraverso le sinapsi, rendendo un po’ — questo e un po’ +++ quell’altro. Il tutto moltiplicato qualche miliardo di volte.
Questo spostarsi delle sinapsi da un neurone che ha determinato una risposta fallimentare ad un altro che forse determinerà una risposta migliore è ciò che si chiama “plasticità sinaptica“, cioè in effetti la capacità di un cervello di imparare. L’intelligenza insomma.
Un ultimo sforzo. Facciamo un passo oltre: immaginiamo che alcuni di questi neuroni non producano affato una risposta di tipo motorio, ma invece producano con la loro scarica elettrica il rilascio di sostanze neuro-ormonali quali l’adrenalina per una reazione di ira o paura, il cortisone per una sensazione spiacevole, le encefaline e le endorfine per una sensazione piacevole. Ecco che alla nostra risposta abbiamo aggiunto anche un contenuto emozionale.
E ora, prendiamo una strada ulteriore: altri neuroni, che rientrano nel circuito di cui sopra, non producono ormoni, né determinano una risposta motoria, ma riverberano in un circuito che in parte ha a che vedere con le informazioni visive, in parte con le informazioni uditive, od olfattive o gustative. Ecco che abbiamo aggiunto colori, suoni, odori e gusti, e magari anche il tatto, ad una risposta motoria con un contenuto di tipo emozionale… cioè, abbiamo creato quello che per brevità chiamiamo “pensiero”. Cioè una scena in parte presa dal nostro passato evocata da uno stimolo proveniente dall’esterno.
Ma attenzione, lo stimolo esteriore evocherà una risposta che sarà figlia di quell’unico ed irripetibile schema di connessioni che caratterizza il cervello di ciascuno di noi. Questo è meraviglioso secondo me: significa che la nostra mente è in effetti un prodotto di qualcosa di tangibile, di carne e sangue… Non è eterea ed incorporea… esattamente come il movimento è prodotto dalle cellule del muscolo che si contraggono.
E il gioco è fatto.
Ogni volta che il robottino per falciare l’erba del vicino emette un beep di lamento perché è bloccato da un ostacolo in giardino, e ogni volta che mi perdo ad osservare il Roomba in salotto, faccio un ragionamento: quella struttura semplice non è ovviamente in grado di concepire il livello di complessità cui noi possiamo arrivare con il nostro cervello. Non potrei nemmeno iniziare a spiegarglielo. Non è nemmeno stata progettata e realizzata per “imparare a pensare”. Certo che no. Tutto quel che le interessa e che è in grado di capire è che deve muoversi in avanti, pulire il pavimento o falciare il prato, e se un ostacolo incontra i suoi sensori, deve evitarlo. Probabilmente noi stessi, che crediamo di essere la forma di vita più intelligente sul pavimento del salotto, facciamo in realtà affidamento per interpretare la realtà su uno strumento, il nostro cervello, che a nostra irrimediabile insaputa è invece assolutamente inadeguato e insufficiente … <<In alcune parti dell’universo, il pensiero umano è considerato una malattia contagiosa>> (cit.)